
PAPPAGALLI E SEMI
Lo spunto per questo scritto nasce da quanto letto pochi minuti fa in un gruppo: una signora proprietaria di un cenerino raccontava che il proprio veterinario gli avrebbe suggerito di non alimentare il suo animale con formulati estrusi ma con fresco, semi e frutta secca. Ennesima dimostrazione che alimentazioni inadeguate e malattie derivanti, rimangono ancora un serio problema nella medicina aviaria. Questo è probabilmente il risultato di diversi fattori: in primo luogo una generale carenza di ricerca sui fabbisogni nutrizionali dei pappagalli in cattività, una insufficiente conoscenza da parte dei proprie
tari e ancor peggio, forse di non pochi veterinari, aggiungiamoci convinzioni legate ad ormai desueti paradig
mi, a consolidate abitudini e a comodità. Questo problema è anche esacerbato dalla commercializzazione di diete a base di semi da parte dei produttori di mangime per uccelli che affermano che tali diete sono complete, equilibrate e sane. La formulazione di miscele di semi specie-specifiche si basa in gran parte sulla dimensione dei semi in relazione alla dimensione del becco e sull'esperienza per quanto riguarda le preferenze dietetiche della specie, poco sui requisiti nutritivi specifici della specie (Kalmar, 2011).
Abbiamo visto in altri paragrafi l'importanza di determinare il fabbisogno nutritivo per poter offrire una dieta soddisfacente ed equilibrata. Ancora oggi, molte persone, tendono ad alimentare i propri pappagalli con quantitativi inappropriati di semi, di seguito una rassegna di osservazioni in studi di ricercatori che dimostrano l'inadeguatezza e la pericolosità di questa pratica. Le miscele di semi (parte edibile) non sono una dieta equilibrata, la ricerca fino ad oggi, ha dimostrato in modo incontrovertibile che le diete ricche di semi contengono livelli eccessivi di grassi, sono carenti di calcio, hanno un rapporto calcio-fosforo inappropriato e mancano di vitamina A, D, K, E. (Wolf,2002; Harrison, 2006). Gran parte del prodotto viene raccolto e venduto non completamente maturo, e anche quando lo è, non possiede gli stessi profili nutrizionali delle sementi selvatiche. Molti semi possiedono valori proteici appropriati ma non contengono gli aminoacidi essenziali come la lisina o la metionina (Roudybush e Grau, 1985). Altra differenza tra commerciale e selvatico la si riscontra anche nei cereali, in questi differisce la composizione degli acidi gassi, nei selvatici è caratterizzata dalla mancanza di ω-6 (McDonald, 2004). I semi delle piante coltivate hanno una concentrazione maggiore in energia e minore in proteine ed altri nutrienti rispetto ai semi disponibili in natura (Klasing, 1998) Anche per le specie granivore, un cereale commerciale standard può essere considerato una dieta squilibrata perché i semi delle piante domestiche sono più concentrati in energia e meno in proteine e altri nutrienti rispetto ai semi disponibili in natura (Klasing, 1998).
Analizzando l'assunzione giornaliera di aminoacidi essenziali nei pappagalli cenerini africani, quelli alimentati ad “libitum” con una dieta a base di semi risultarono carenti di aminoacidi rispetto a quelli alimentati sempre ad “libitum” con una dieta a base di estrusi.(Kalmar, 2012) Un'altra indagine ha valutato l'assunzione di cibo in sei pappagalli di cinque specie diverse. La dieta era a base di frutta e semi; gli autori hanno osservato una grande diversità tra gli individui in termini di selettività degli alimenti, ma una tendenza generale a preferire i semi rispetto ad altri alimenti vegetali, portando le diete ad essere nutrizionalmente eterogenee ma notevolmente sbilanciate. La dieta media consumata presentava un livello marginale di proteine, un'elevata energia, un basso contenuto di calcio, fosforo e manganese e un rapporto calcio/fosforo inadeguato (Carciofi 2003). Una dieta ricca di grassi con bassi acidi grassi polinsaturi predispone gli uccelli all'aterosclerosi (Bain, 2012). Uccelli alimentati con supplementazione dietetica di omega-3 (olio di pesce) hanno mostrato colesterolo e trigliceridi più bassi rispetto al gruppo che ha ricevuto olio di lino (Heinze, 2012). Questo tipo di integrazione dietetica può ridurre il rischio di sviluppare l'aterosclerosi. Al contrario, un altro tipo di acido grasso presente nella miscela di semi, l'acido α-linolenico (ALA) è ritenuto un fattore di rischio per questa patologia. Poiché la concentrazione ematica di ALA è legata all'assunzione del cibo, questa deve essere la più bassa possibile (Bavelaar, 2005 ).
L'obesità è stata definita come un eccesso di peso corporeo maggiore del 20% rispetto al peso corporeo ottimale (Harrison, 2006 ). Anche la carenza di cisteina e metionina predispone alla sindrome del fegato grasso (Harrison, 2006); in uno studio effettuato sugli ondulati, una dieta a base di semi con il 12,8% di proteine con basso contenuto di lisina ha provocato un aumento del grasso corporeo, la stessa dieta integrata con lisina si è dimostrata adeguata per mantenere il peso e la composizione corporea (Underwood, 1991 ). Ciò fa intuire che anche la carenza di aminoacidi, nelle diete a base di semi, potrebbe influire sull'obesità. Anche il successo riproduttivo dipende in larga misura dallo stato nutrizionale dei ripoduttori e dei pulli. I semi diminuiscono le prestazioni riproduttive perché mancano di calcio, lisina, vitamina A ed E. Le carenze di vitamina A sono correlate ad un aumento del tempo tra le covate, ad una ridotta schiusa, ad una maggiore mortalità embrionale, ad una diminuzione del tempo di sopravvivenza della progenie, ad una diminuzione delle dimensioni dei testicoli, ad un fallimento della spermatogenesi e ad un declino nell'attività sessuale nei maschi (Zhengwei, 2000)
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